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Licenziamento per motivi economici
Il problema è soprattutto quello del licenziamento per motivi economici: cioè il licenziamento non perché il lavoratore ha commesso una colpa, ma perché si prevede che, se il rapporto di lavoro prosegue, ne deriverà una perdita notevole per l’impresa. Nel caso del licenziamento disciplinare, cioè per colpa del lavoratore, il datore di lavoro deve dimostrare un evento passato, cioè la mancanza commessa dal dipendente; e questo è per lo più agevole, comunque possibile. Nel caso del licenziamento per motivi economici, invece, al datore di lavoro si chiede di dimostrare un evento futuro: di dimostrare, cioè, che senza il licenziamento il rapporto di lavoro produrrà una perdita notevole. Questo è molto più difficile: non solo perché ciò che accadrà in futuro può essere probabile o improbabile, ma è sempre opinabile, è oggetto di una valutazione; e il codice di procedura vieta di dedurre prova sulle valutazioni. Poi, va considerato che ogni giudice ha la sua idea su quale sia l’entità della perdita futura che può giustificare il licenziamento; e il datore di lavoro non sa a quale giudice verrà assegnata la causa. Ne deriva una marcata incertezza circa l’esito del giudizio: incertezza che si protrae per tutti i gradi del giudizio, quindi anche per anni. E all’imprenditore basta perdere un grado del giudizio, con conseguente reintegrazione automatica del lavoratore, per subire costi molto elevati, che non verranno eliminati neppure nel caso che egli vinca in un grado successivo. Fonte: UIL
Nota Informativa |
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